Il Vin Santo è un passito prodotto da secoli in Toscana e in Umbria, strettamente legato alle tradizioni locali. Nasce da uve appassite su stuoie o graticci, con vinificazione in piccole botti di rovere sigillate chiamate caratelli, dove la maturazione si protrae per molti anni. Il metodo tradizionale prevede la presenza di un deposito feccioso derivato delle precedenti produzioni, chiamato Madre, con la funzione di innescare la fermentazione. Le uve utilizzate sono generalmente bianche, in particolare Malvasia e Trebbiano, ma è previsto anche l’impiego di uve rosse per la tipologia Occhio di Pernice. Nasce così un passito robusto, ricco e concentrato, sorretto da una buona freschezza e dotato di un gusto morbido e intenso che può essere più o meno dolce e che si abbina perfettamente ai dolci tipici del Centro Italia: cantucci, panforte, ciambella tradizionale, fave dei morti e pasticceria secca.
Il Vin Santo è un passito prodotto da secoli in Toscana e in Umbria, strettamente legato alle tradizioni locali. Nasce da uve appassite su stuoie o graticci, con vinificazione in piccole botti di rovere sigillate chiamate caratelli, dove la maturazione si protrae per molti anni. Il metodo tradizionale prevede la presenza di un deposito feccioso derivato delle precedenti produzioni, chiamato Madre, con la funzione di innescare la fermentazione. Le uve utilizzate sono generalmente bianche, in particolare Malvasia e Trebbiano, ma è previsto anche l’impiego di uve rosse per la tipologia Occhio di Pernice. Nasce così un passito robusto, ricco e concentrato, sorretto da una buona freschezza e dotato di un gusto morbido e intenso che può essere più o meno dolce e che si abbina perfettamente ai dolci tipici del Centro Italia: cantucci, panforte, ciambella tradizionale, fave dei morti e pasticceria secca.
Numerose ipotesi hanno cercato di spiegare l’origine del nome del Vin Santo, tipico dell’Umbria e della Toscana, ricollegandolo all’antico uso liturgico oppure alla pratica di fare fermentare il mosto durante la Settimana Santa. Certamente per secoli questa espressione territoriale era riservata solo a che se la poteva permettere, cioè ai nobili e all’alto clero. Alcuni storici sostengono che venisse consumato nelle celebrazioni liturgiche, per la sua capacità di conservarsi nelle sagrestie anche in bottiglie aperte, altri che i grappoli venissero spremuti rigorosamente nel giorno della festa dei Santi, guadagnandosi il celebre appellativo. Secondo una leggenda nel pieno della peste scoppiata a Siena nel 1348, un frate avrebbe somministrato questa preziosa bevanda ai moribondi per alleviarne le pene. Uno di questi, rinfrancato dai dolori della malattia, avrebbe apprezzato il passito definendolo ‘sanctus’. Un’altra ipotesi si fonda sulle evidenti analogie con lo Xantos, un passito greco prodotto sull’isola di Santorini. Questa ipotesi è stata sostenuta con autorevolezza dal famoso enologo Giacomo Tachis che, in un suo libro, ha divulgato un interessante aneddoto che risale al 1439, nei giorni in cui si svolge a Firenze il Concilio Ecumenico. Nel corso di un lauto banchetto, il cardinale Bessarione, assaggiando una bottiglia proveniente dalla Grecia, avrebbe esclamato entusiasticamente “questo è di Xantos”, riferendosi alla specialità dell’isola di Santorini. Gli altri commensali, non afferrando appieno il significato dell’espressione, la interpretarono come una massima lode rivolta alla bottiglia, a cui sarebbe stata attribuita addirittura la santità. L’ipotesi più probabile è che tutti questi aneddoti e contingenze possano aver contribuito assieme all’origine del nome, uno dei più antichi e affascinanti della tradizione enologica italiana. Questo grande fascino, unito a caratteristiche organolettiche uniche e inimitabili, hanno contribuito alla fortuna di questo protagonista dei vini toscani in tutto il mondo.
Da secoli il metodo di produzione è rimasto pressoché invariato e viene ancora oggi praticato con grande rigore e passione. In vigna si effettua una rigida selezione dei migliori grappoli, che vengono portati in appassitoi, stanze ben ventilate, e adagiati su graticci, cassette o telai. Dopo la fase di appassimento, che in alcuni può protrarsi anche per oltre 4 mesi, le uve sane e non ammuffite vengono diraspate e sottoposte a pressatura soffice. La fermentazione si svolge nei tradizionali caratelli di castagno oppure in più moderne botti non tostate di rovere europeo, sempre di piccole dimensione, cioè in grado di contenere al massimo 200 litri. Data la significativa concentrazione zuccherina non è semplice che la fermentazione si svolga completamente in maniera spontanea. Per questo motivo i produttori nel corso dei secoli erano soliti conservare all’interno delle piccole botti le fecce delle precedenti lavorazioni, ricche di lieviti selvaggi che favorivano l’innesco e il totale compimento della fermentazione alcolica. Ancora oggi i produttori più tradizionalisti sfruttano questo deposito feccioso chiamato Madre, nel rispetto delle pratiche più antiche e territoriali. È il caso del prestigioso Vin Santo Avignonesi, che viene prodotto da una Madre centenaria, ma anche di molte altre etichette di importanti produttori. L’utilizzo della Madre riduce la possibilità di controllo da parte dell’enologo del processo produttivo. Per questo alcuni produttori ricorrono a lieviti selezionati, per ridurre il rischio che il prodotto finale presenti dei sentori non previsti che possono essere percepiti come sgradevoli. Il celebre enologo Giacomo Tachis ha però sostenuto come, grazie ai moderni laboratori di analisi, sia possibile individuare i caratelli che contengono la Madre migliore e più affidabile, scongiurando il rischio di perdere il controllo produttivo rimanendo fedeli all’antico metodo di produzione.
Esistono diverse tipologie di Vin Santo Doc, sia in Toscana che in Umbria. Quello del Chianti è prodotto in prevalenza da uve bianche appassite di Trebbiano Toscano o Malvasia. Deve essere invecchiato in botti di rovere non maggiori di 500 litri e non può essere messe in commercio prima di 3 anni dalla vendemmia. Se prodotto nella zona storica del Chiantigiano, corrispondente alle colline tra Firenze e Siena, può assumere la denominazione di Classico. Quella di Occhio di Pernice è invece riservata alle espressione ottenute da uve rosse di Sangiovese per almeno il 50%. Si tratta in questo caso di vini rossi, dal colore tipico che ricorda quello dell’occhio di pernice. Anche in altre zone della Toscana vengono prodotte importanti espressioni di questo rinomato passito, spesso a partire da uve di Malvasia Bianca, Trebbiano Toscano e Grechetto. È il caso di quello di Carmignano oppure di Montepulciano. Varie tipologie sono prodotte anche in Umbria, sia in versione bianca che Occhio di Pernice. Diverse denominazioni di origine ne prevedono infatti la produzione. Alcune di queste sono: Amelia Doc, Torgiano e Colli del Trasimeno. Si tratta solo di alcuni esempi di una tipologia diffusa in tutta il centro Italia e diffusa in tantissime varianti.
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