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Birra Bionda

La birra bionda incarna la tipologia brassicola più comune e apprezzata nel mondo. Il suo colore dipende essenzialmente dall’utilizzo di malti chiari in fase di produzione, tostati ed essiccati a bassa temperatura e non torrefatti. Questa tipologia viene spesso identificata con le più classiche Lager a moderata gradazione alcolica o con le Pils, ottenute con bassa fermentazione. Altri stili però, sotto l’impulso dei produttori artigianali, stanno prendendo sempre più piede, offrendo espressioni ad alta fermentazione dal colore dorato più o meno intenso, a volte tutt’altro che semplici e leggere. Blonde Ale, Bitter, IPA o Saison sono solo alcuni dei tantissimi stili che rendono straordinariamente variegato il panorama di questa tipologia.

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La birra bionda incarna la tipologia brassicola più comune e apprezzata nel mondo. Il suo colore dipende essenzialmente dall’utilizzo di malti chiari in fase di produzione, tostati ed essiccati a bassa temperatura e non torrefatti. Questa tipologia viene spesso identificata con le più classiche Lager a moderata gradazione alcolica o con le Pils, ottenute con bassa fermentazione. Altri stili però, sotto l’impulso dei produttori artigianali, stanno prendendo sempre più piede, offrendo espressioni ad alta fermentazione dal colore dorato più o meno intenso, a volte tutt’altro che semplici e leggere. Blonde Ale, Bitter, IPA o Saison sono solo alcuni dei tantissimi stili che rendono straordinariamente variegato il panorama di questa tipologia.

Il metodo di produzione delle birre bionde

I recenti studi hanno dimostrato come la birra bionda sia una delle bevande più consumate al mondo, con percentuali di consumo superiori a quelle del vino. Che cosa è che rende questa tipologia così popolare? Sicuramente la facilità e l’immediatezza di beva, la sua straordinariamente diffusione in tutto il mondo, i costi contenuti e l’ottima versatilità gastronomica. Gran parte della popolazione la consuma quasi quotidianamente; in pochi sanno però sanno che esistono tantissimi stili di produzione, molto differenti tra loro.

Il fattore comune a tutti gli stili è la scelta della materia prima principale: malto d’orzo, associato, a seconda dei casi, ad altri cereali come frumento, riso, mais o segale. Per ottenere il classico colore chiaro è importante che questi cereali siano sottoposti ad un essiccamento a temperature non superiori a 85°C, per evitare che assumano colori bruniti e si caricano di aromi troppo tostati o torrefatti.

Il mosto ottenuto da questi cereali chiari viene posto nella caldaia di cottura con aggiunta di luppolo, responsabile del classico aroma amaricante. A questo punto il produttore, a seconda dello stile che vuole ottenere, può scegliere di ricorrere ad una bassa fermentazione, cioè a circa 10°C con l’ausilio dei lieviti Saccharomyce carlsbergensis, oppure ad un’alta fermentazione, a circa 20°C utilizzando lieviti Saccharomyces cerevisiae. Altre scelte di produzione possono influenzare il profilo organolettico del prodotto finale: eventuali filtrazioni, maturazioni in legno, pastorizzazioni, rifermentazioni in bottiglia eccetera.

Per fare solo un esempio, le chiare del Birrificio Civale sono ottenute solo da malto d’orzo tedesco e da luppoli americani, con un processo di alta fermentazione e con possibili invecchiamenti in legno. Tutte le etichette sono filtrate, ma non sono sottoposte a pastorizzazione.

Tantissimi stili, un’unica tipologia

Il panorama delle birre chiare è molto ampio e diversificato. Una delle variabili più significative riguarda il metodo di produzione: le espressioni più comuni e diffuse, caratterizzate da buona freschezza e da un grado alcolico contenuto, sono ottenute da bassa fermentazione, mente le varianti più artigianali sono spesso prodotte con alta fermentazione, per questo chiamate Golden Ale, di noma più intense e impegnative.

Altre variabili significative dipendono dalla qualità e dalla quantità dei luppoli, oltre che dalle percentuali di cereali utilizzati. Maggiore è la quantità di malto d’orzo e più corposo e intenso sarà il risultato finale. I succedanei dell’orzo infatti, utilizzabili in Italia con percentuali non superiori al 40%, danno vita ad espressioni più leggere.

Gli stili produttivi sono tanti e molto diversificati tra loro. Qualche esempio può aiutare ad orientarsi:

  • Stili a bassa fermentazione:
    • Pilsner o Pils
    • Lager
    • American Lager
    • Munchner
  • Stili ad alta fermentazione:
    • Bitter Ale
    • Birre IPA, cioè India Pale Ale
    • APA, cioè American Pale Ale
    • Saison

Non solo pizza: gli abbinamenti più comuni

Oggi è sempre più facile trovare birre bionde online e le occasioni di consumo sono velocemente mutate. In passato in Italia era consumata quasi esclusivamente con la pizza, mentre oggi la cultura degli abbinamenti è molto più sviluppata. Il binomio pizza e birra bionda rimane ancora irrinunciabile, ma i consumatori sono sempre più attenti a valorizzare i differenti stili tramite abbinamenti sempre più particolari.

Questa tipologia brassicola, soprattutto nelle sue versioni a bassa fermentazione, è ideale da consumare fuori pasto o nel momento dell’aperitivo. Per questo motivo, seguendo la tradizione tedesca e viennese, è sempre più comune consumarla in accompagnamento a stuzzichini salati come olive, salatini, patatine, pop corn, verdure sottaceto e finger food. Il bicchiere utilizzato è solitamente, in questo caso, quello lungo e affusolato, ideale per valorizzare la soffice schiuma bianca, oppure il classico boccale con manico di tradizione bavarese.

Più complesso è invece il discorso per gli stili ad alta fermentazione: gli aromi luppolati e amaricanti delle IPA possono valorizzare al meglio cibi amarognoli come carciofi, asparagi e fegatini; le Bitter Ale sono solitamente accostate a formaggi freschi; le più intense Pale Ale invece possono reggere il confronto con arrosti di animali da cortile, salumi e primi piatti.

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